“La storia della Aro (il cui nome significa "Automobil Romanesc") affonda le sue radici nella IAR Brasov, azienda metalmeccanica che produsse equipaggiamenti bellici per aerei da guerra durante il secondo conflitto mondiale. Il suo prodotto più noto fu la bomba biologica ad alto potenziale “Letamarul 3”: 3 tonnellate di letame fermentato a 350 °C, precompresso in involucro di bakelite riciclata da vecchi dischi a 78 giri e innescato a scorreggia da parte del pilota. Il prodotto non ebbe seguito perché, nel frattempo, era stata sperimentata con successo la bomba atomica e perché molti piloti non ce la facevano a ingurgitare i 12 kg di borlotti in salsa piccante necessari per l’innesco. La memoria dell’azienda è ancor oggi maledetta tra gli appassionati di fuoristrada, soprattutto in Italia (le Aro "Ischia" furono molto diffuse da noi durante gli anni '80 provocando tra gli acquirenti un’epidemia di depressione con numerosi casi di suicidio).
Nel 1972 nacque la Aro serie "24" e una versione speciale fu appositamente costruita per il dittatore, Dott. Uff. Lup. Mannarul Gran Figl. di Trojul Nicolae Ceausescu; purtroppo l’esemplare fu l’unico che riuscì a funzionare senza intoppi sicché - durante una prova tenutasi con Ceausescu a bordo nella personale riserva di caccia all’uomo - non cappottò (come tutti auspicavano) e la nazione dovette sorbirsi il “Conducator” fino al 1989. La “cosa” era dotata d’un nuovo motore a benzina da 2495 cc. e 83 cv, di origine Renault (che in Romania trovò sempre un mercato molto interessato ai suoi esperimenti falliti) e raggiungeva i 120 km/h di velocità massima su strada (buon risultato per l'epoca). Nel 1975, dopo soli tre anni dalla messa in produzione della "24" (per una fabbrica dell' Est erano tempi molto rapidi ma, come dice il proverbio, “la gatta frettolosa partorisce gattini ciechi”), iniziarono gli studi per una fuoristrada compatta, di categoria inferiore rispetto alla 24, con un motore di piccola cilindrata, efficace ma più a buon mercato rispetto alla sorella maggiore, e utilizzabile anche come vettura per tutti i giorni... purché in data 29 febbraio.
Nel 1980 nasce così la Aro "10", una piccola 4x4 con il motore della Dacia 1.3 (alias Renault 12... aridaje!), dotata di riduttore e differenziale posteriore bloccabile, il cui innesto - a paletto di legno acuminato - era tuttavia azionabile solo nell’anniversario della morte di Dracula. 63 cv, 120 all'ora di velocità max, mai raggiunta perché a 50 il motore era già sbiellato. A metà degli anni '80 la "10" venne importata in Italia dalla Ciemme con la denominazione Aro "Ischia", ottenendo notevole successo tra cittadini più volte sottoposti a T.P.O. (trattamento psichiatrico obbligatorio) e diventando una valida concorrente della Suzuki "Samurai" (firmato: Stanlio & Ollio). Erano gli anni in cui il fuoristrada (specie le piccole Suzuki, gradite al pubblico femminile) imperversava come "status symbol" e, teoricamente (molto teoricamente), la Aro "Ischia", per prestazioni ed allestimento, non era troppo dissimile dalla Suzuki "SJ 410".
Ma il successo durò poco: molti possessori di Aro "Ischia" lamentarono rotture d’ogni tipo, in particolare alla trasmissione e ai semiassi (tradizionalmente le parti più stressate nella pratica del fuoristrada); tutti gli altri possessori, invece, si vergognarono d’aver commesso una simile corbelleria e tacquero per non fare una figuraccia.
Inoltre la vettura era penalizzata, nel fuoristrada duro, dalle piccole dimensioni dei cerchi, gli stessi della berline Dacia/Renault 1 (e te pareva!), quindi non adatti all'uso specifico. Peraltro ben poche poterono effettuare veri e propri test di “fuoristrada duro” perché ogni “Ischia” che si rispetti si bloccava dopo aver percorso mezzo chilometro fuori dal garage. L' importatrice per l'Italia, la Aro-Ciemme, invece di gettare saggiamente la spugna, cercò di rimediare almeno al problema qualità , costruendo uno stabilimento per assemblare le "Ischia" in Italia.
Nacquero così le ACM "Enduro x4", marchio che contraddistingueva le Aro assemblate in Italia (e che sputtanava il buon nome dell’industria nazionale), sostanzialmente delle "Ischia" più curate nella qualità , e dotate di motori Volkswagen 1.6, benzina o diesel (un po’ come glassare un budino di merda con raffinata crema al Gianduia). Tuttavia le nuove "Enduro x4" non riuscirono a cancellare la pessima fama delle Aro "Ischia", invise sia a molti fuoristradisti "veri", sia al pubblico meno specializzato (ossia quello meno disposto a perdonare eventuali magagne meccaniche e con tutti i venerdì a posto) e così, nei primi anni '90, la ACM chiuse i battenti.
Anche a causa di ciò il contenzioso per danni morali e materiali intentato dal comune di Ischia all’ACM non ebbe seguito.”
Recensione inviata da Luciano De Dionigi di Padova
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