“Premessa.
Chi si occupa di zoologia sa certamente che l’Impala (sostantivo maschile, nome scientifico Aepyceros melampus) è un mammifero artiodattilo; per i meno esperti mi limito a dire che l’animale appartiene alla categoria delle antilopi, ha forme agili ed eleganti e corna assai acuminate in grado di tenere a bada - quando l’animale non riesca a fuggire grazie alla straordinaria velocità - anche pericolosi predatori.
In una relazione stilata dall’autorevole studiosa prof. Prassede Bergonzoni - dell’ateneo di Forlimpopoli - il nominativo Impala venne attribuito all’animale dal compianto naturalista, dott. Calogero Settechiappe (tre culi e mezzo) - libero docente presso l’ateneo di Lercara Friddi - il quale aveva notato come l’animale, quando combatte contro un predatore intenzionato a farsi una merendina, adotti la seguente tattica: grazie alla prodigiosa agilità , con un brusco scatto di lato seguito da doppia piroetta carpiata, si porta fulmineamente dietro l’aggressore e, approfittando di tale posizione a lui favorevole, lo impala con una delle corna producendo micidiali lacerazioni e, siccome il prof. Settechiappe aveva conseguita una seconda laurea in proctotraumatologia, v’è da credergli.
Secondo alcuni co.co.pro.Co.co.pro. è il contratto a progetto. E' una tipologia di contratto di lavoro introdotta nel 2003 con la Legge Biagi. Teoricamente con un contratto di collaborazione a progetto, il lavoratore resta autonomo senza vincoli di subordinazione al datore. - appositamente ingaggiati dall’Ufficio Ricerche del FMI (istituto molto attivo nel settore sodomizzazioni) - il corno più frequentemente usato sarebbe il destro ma si cita il caso di esemplari mancini che preferirebbero usare il sinistro, comunque la questione è tuttora controversa e anche un po’ antani.
Origine del nome
Verso la fine degli anni 50 Billy Brandystock, un creativo della Chevrolet, ricevette dall’ing. Ed ColeNicholas Edward Cole (1909 - 1977) è stato un dirigente automobilistico americano della General Motors. Negli anni 50 divenne capo divisione prima e direttore generale poi della Chevrolet dirigendo tra l'altro lo sviluppo della compatta Corvair e dei primi convertitori catalitici. un plico contenente le foto del prototipo d’una nuova “automobile di prestigio alla portata del cittadino medio americano”, con l’ordine perentorio di trovare un nome alla sua creazione.
Quando Billy vide le foto rimase di stucco e si chiese:
“Macchecazz’è? Un nuovo modello di carro falcato?”
Per chi non lo sapesse, il carro falcato fu un mezzo militare molto apprezzato dagli antichi romani. Si trattava d’una biga ai cui lati venivano fissate lame tipo machete e funzionava così: mentre la pugna infuriava, il prode auriga si buttava a tutta manetta con il suo carro tra le truppe avversarie e lì le affilatissime lame affettavano un discreto numero di nemici. Poi le virtù guerriere degli antichi romani s’ammosciarono sicché tali veicoli vennero riciclati nelle innumerevoli arene dell’impero, in occasione di eventi sportivo-popolari. Il funzionamento era sempre lo stesso, solo che gli “affettati” non erano più nemici di Roma ma normali gladiatori, come del resto lo stesso auriga. Cicerone, nel suo “De affettatibus”, afferma che questo gioco circense fu molto gradito dai tifosi, assieme al gioco “Scannali tutti e torna solo”, al gioco “Ti sbudello?... No, tu no!” e al rancio delle belve a base di cristiani.
Billy, oltreché creativo di chiara fama, era anche un appassionato cacciatore; non per niente si recava spesso nel suo stato d’origine, l’Alabama, dove - all’epoca - si tenevano frequenti battute di “caccia-al-negro-che-per-sbaglio-aveva-orinato-nel-vespasiano-riservato-ai-bianchi”; però, in tali circostanze, non utilizzava una delle sue numerose armi da caccia bensì un leggendario M1 GarandL'M1 Garand è stato il primo fucile militare semiautomatico a presa di gas in recupero e riarmo (8 colpi). Usato massicciamente nella seconda guerra mondiale, nella guerra di Corea e, più limitatamente, nella guerra del Vietnam, divenne il fucile d'ordinanza del soldato americano. da guerra, tanto i suoi compagni di battuta - tutti gentiluomini appartenenti al famoso Circolo Cacciatori KKK, sezione Alabama - non ci facevano caso. Fu perciò che, pensa e ripensa, Billy ebbe l’idea vincente.
“Potrei scegliere” si disse “il nome d’una specie animale, una scelta semplice e d’effetto sul grosso pubblico, ma non i soliti nomi tipo Tiger, Puma, Cobra, Mustang e simili banalità , un nome originale, poco conosciuto, un nome tipo... Boh?”
Billy non si perse d’animo. Ovviamente, da appassionato cacciatore, aveva un catalogo di tutte le specie cacciabili (afroamericani d’Alabama inclusi) con immagini in quadricromia, pertanto lo sfogliò finché la sua attenzione cadde sull’elegante e agile Impala.
“Vabbè, ‘sto cataplasma di macchina non è né elegante né agile, ma il nome è inedito; figurati se Ed, sprovveduto com’è, si rende conto che non è il più appropriato... OK: gli propongo Impala e, se non gli va, gli auguro di beccarsi un corno di questa bella bestia nel sedere; tanto sono in trattative con la Ford, anche se mi licenzia a me che mi frega?”.
Indubbiamente i prodotti con tale brand ebbero un’enorme fortuna, tanto che ancor oggi il brand compare tra quelli Chevrolet.
La vettura
Il paragone tra un’Impala (al femminile) del 1958 con un carro falcato non appare troppo audace, grazie alla carrozzeria caratterizzata da una sconcertante gamma di elementi tipici - all’epoca - dell’estetica automobilistica yankee: modanature, rostri, scalfature, pinne, cornici e tante, tantissime cromature.
La parte più impressionante era il monumentale posteriore, caratterizzato da enormi e acuminate pinne orizzontali, sottolineate da profili cromati e lateralmente sporgenti dalla sagoma limite. Vista da dietro, viene da pensare che questa macchina sia stata vittima di ben pochi tamponamenti: infatti le pinne davano l’idea che, qualora un’Isetta, una 500, una Prinz eccetera l’avessero tamponata, il misero tamponatore sarebbe finito come Maria Antonietta di Francia dopo l’”operazione” (per tacere di ciclisti e motociclisti); però - all’epoca - negli States circolavano vetture ben più protettive delle summenzionate microfetecchie e pochi ci fecero caso.
Ad avviso di chi scrive, la vettura era pericolosa anche da ferma: mettiamo infatti il caso che uno sventurato pedone fosse stato colto da capogiro e si fosse abbattuto su un’Impala parcheggiata proprio lì accanto, bene che andasse dieci settimane di degenza s.c. non gliele levava nessuno.
E a questo punto chiudo formalmente la mia recensione, limitandola alle considerazioni estetiche di cui sopra; infatti non ho mai provato un’Impala, non ci sono mai salito sopra, mi limitai solo a vederne una in Svizzera, con targa svizzera, segno che anche tra i sobri e industriosi cittadini elvetici qualche facoltoso schizzato esisteva anche in quegli anni ormai remoti.
Quindi, dicevo, chiudo la mia recensione per evitare che il solito coatto “So-tutto-io” intervenga con l’abusata manfrina “Ma voi sfigati l’avete mai provata? Altro che auto di merda...” e via discorre(ggia)ndo.
Però mi siano consentite alcune postille: indubbiamente l’Impala, con il suo kitsch esagerato, dimostrava quanto abissale fosse lo spread tra stile yankee ed europeo: all’epoca gli States erano, in tutti i sensi, un’altra galassia. Eppure, a ben guardare, quei vistosi transatlantici delle highways, con i loro orpelli cromati, i loro motoroni assetati e asfittici, la loro ondivaga tenuta di strada, i loro inadeguati freni a tamburo (poco male, tanto i severi limiti di velocità venivano fatti rispettare da agenti ancor più severi) un loro indiscutibile fascino l’avevano.
Negli anni successivi le Impala si diedero una regolata: infatti in Chevrolet qualcuno s’accorse che, così com’era, l’Impala 58 costituiva un attentato alla pubblica incolumità e i modelli successivi s’imborghesirono sempre più, perdendo le caratteristiche di “corpo contundente su ruote” proprie della progenitrice, al punto che - se si va sul sito Chevy Impala d’oggigiorno - compare una berlinona non sgradevole ma del tutto anonima... Eh sì, gente, viene proprio da chiedersi se la vera auto di merda non sia l’Impala del XXI secolo. A voi, miei esimi e pazienti lettori, la risposta.”
Recensione inviata da Luciano De Dionigi di Padova