RENAULT 14 ..by Luciano De Dionigi

RENAULT 14
LE VOSTRE RECENSIONI “Nel 1977 ero un po’ stanco della mia Mini Innocenti la quale, pur essendo divertentissima da guidare, molto brillante e, considerata la classe, anche ben rifinita, cominciava a distruggermi la colonna vertebrale a causa delle terrificanti sospensioni “Hydrolastic”, nonché le corde vocali e l’apparato auditivo, dato che, dai 90 in su, bisognava sgolarsi per conversare: l’autoradio (Stereo 8... chi era costui?), poi diventava inaudibile. Inoltre, praticando all’epoca il camping in tenda, se volevo partire con un’attrezzatura decente, lo spazio non bastava mai.
Per cui, dopo sei anni e 70.000 km percorsi senza grossi problemi, decisi di disfarmi della Mini e presi a guardarmi attorno considerando varie opzioni:
- Fiat 128, una delle più grandi fetecchie e uno dei più grandi successi di Mamma Fiat: una tipica vettura da “vecchio con cappello” e io, all’epoca, non lo ero ancora; per inciso, la Duna - a paragone - era una figata da urlo, però i tempi in cui la sventurata italo-brasileira fu presentata erano diversi e i “fasti” della 128 non si ripeterono.
- Fiat 127, più moderna ma desolatamente banale, sempre troppo piccola per le mie esigenze e con sole tre porte.
- Renault 5, un po’ più elegante ma, quanto a spazio interno, ancor peggio della 127.
- VW Golf... diciamocela tutta: la prima serie della mitica vettura era davvero bruttina e più costosa della concorrenza; oltretutto io volevo le cinque porte e il relativo sovrapprezzo non era irrilevante.
- Simca 1100, Alfasud, Allegro... si, vabbé.
Proprio all’epoca, uno stilista Renault, passeggiando in un frutteto, vide una pera “Decana” (sapete, quelle belle pere, colore giallo/verde, panciute e sugose, dolcissime e morbide... yum, yum!): essendo un tipo creativo, immaginò la pera su quattro ruote, mise giù qualche schizzo e così nacque la Renault 14. La casa francese, con questo progetto, intendeva forse pestare i calli alla Golf, che monopolizzava il mercato delle due volumi di segmento medio, profittando peraltro del letargo Fiat che si sarebbe destata - con la “Ritmo”- solo nel 1978 (e sì che Mamma Fiat aveva prodotto la “Primula” già a metà degli anni 60: un’ADM, d’accordo, ma un’intuizione notevole, solo che si preferì sostituirla con la 128; chi, in casa Fiat, ebbe ragione all’epoca? Mah, giudicate voi; secondo me il senno di poi non vale uno sputo). Va detto che la R14 colpì il pubblico con la sua linea innovativa, sicché i giudizi furono drastici : o piaceva o non piaceva; però - fateci caso - la vettura anticipò quelle linee tonde e raccordate a tutt’oggi dominanti tra le due volumi: all’epoca invece i canoni estetici volevano linee dritte, spigolose, decise, e superfici tutte trapezi, rettangoli , triangoli, accattivanti come un WC chimico Sebach. Innegabilmente, comunque, il sasso fu lanciato nello stagno: non per nulla fu con la II serie che il fenomeno Golf dilagò, e la II serie aveva linee già più arrotondate, per tacere delle serie successive. Secondo me, con qualche modifica - specie davanti - la linea della R14 apparirebbe ancor oggi tutt’altro che datata e disarmonica, ma forse dico una put****ta.
Tuttavia la R14 fu una “figlia bastarda” della Renault e sospetto che, per questo, sia stata poco amata nella sua stessa famiglia: montava infatti un motore Peugeot (!!!), più moderno dei motori Renault usati all’epoca (5 supporti di banco anziché 3, albero a camme in testa, ecc.), inoltre, con la R14, la casa abbandonava temporaneamente la disposizione longitudinale del motore per adottare quella trasversale: solo anni dopo la Renault s’avvide che era una disposizione più funzionale, almeno per motori a 4 cilindri. Il sospetto di cui sopra nasce dal fatto che la R14 fu promozionata dalla casa poco e male: in pratica solo i lettori di riviste specializzate seppero della sua nascita e, anche in seguito, la pubblicità fu pressoché nulla. Inoltre la strategia di vendita era “o mangiar questa minestra...”, ossia niente optional, neanche a pagamento.
All’epoca, su molte vetture, erano a pagamento parecchi optional oggi di serie: vetri elettrici, quinta marcia, lunotto termico, chiusura centralizzata, tergivetro posteriore, servosterzo, cassettino con chiave, climatizzatore (peraltro, all’epoca, raramente disponibile su vetture del settore considerato) e quant’altro; ma sulla R14 niente di tutto questo, neanche a pagarlo a peso d’oro, di serie c’erano solo lunotto termico e vetri azzurrati che - essendo la finestratura assai estesa - non servivano a un piffero; non parliamo poi di tetto apribile, autoradio (a cassette, ovviamente), ABS (ancora in fasce) e chi più ne ha più ne metta. Solo in seguito furono offerti i colori metallizzati e i fascioni laterali ma non rammento se fossero compresi nel prezzo.
A questo punto, visto e considerato il pro e il contro, confesso a voi fratelli che anch’io ho peccato:

HO COMPRATO UN’AUTODIMERDA!!!!

Mi recai dal concessionario e, pagato l’anticipo, mi fu comunicato che la R14 sarebbe stata disponibile entro un mese; dopo 10 giorni il venditore mi comunicò che il prezzo era aumentato di 150.000 £ (pari a mezzo mese d’un discreto stipendio, che avrei dovuto sganciare in quanto all’epoca il “prezzo bloccato” te lo potevi sognare), a meno che non mi fossi accontentato dell’unica vettura in deposito, che nessuno voleva perché la sua tinta era un atroce verde pisello con interni neri, compresi i tragici sedili in skai, come quelli che già avevo sulla Mini. Ovviamente pagai la differenza e alla fine mi venne consegnata la R14, bianca, come da prenotazione.
Se il colore esterno era accettabile, una brutta sorpresa m’attendeva per gli interni, rivestiti di plastica colore della cacca evacuata dopo l’ingestione di 5 litri di prugne rosse e carote centrifugate; sedute e schienali erano fortunatamente in tessuto sintetico, il cui colore risultava però un melange tra quello sopra descritto e diffuse sfumature blu, quasi che al centrifugato fosse stato aggiunto il famigerato Curaçao blu della BOLS di Amsterdam; in ogni caso sempre colore di merda era, ma ormai non me sentivo d’attendere ancora, a scanso d’ulteriori aumenti (nel 1977 l’inflazione era oltre il 20 %!). Al posto guida mi colpirono la povertà della componentistica (di qualità però discreta) e della plancia, spoglia come una cella francescana, pochi comandi (d’altronde gli accessori da comandare erano pochi), una bocchetta centrale orientabile, due micro bocchette laterali fisse, un cassetto senza sportello e morta là; la strumentazione comprendeva tachimetro (senza contakm parziale), indicatore benzina (senza spia riserva) e voltmetro (che, per tutta la vita della vettura, segnò sempre 10.5 volt e quindi non serviva a un cazzo). Spia frecce si (almeno quella!) ma niente spia dell’acqua e delle luci (solo abbaglianti) quindi, visto che la chiave non staccava le luci, mi trovai di tanto in tanto con la batteria a terra. Unica chicca: la velocità del ventilatore abitacolo era a variazione continua con reostato. Tuttavia, una volta in strada, la vettura mostrò i suoi pregi: non molto veloce ma estremamente elastica (partiva senza saltellamenti anche in seconda, a 30 km/h si poteva innestare la quarta e la mancanza della quinta non era un problema), tanto da consentire consumi molto ridotti, paragonabili a quelli delle pari cilindrata d’oggigiorno.
A me, che venivo dalla Mini e stavo perdendo le manie corsaiole in favore d’uno stile di guida più rilassato, il rombo del motore sembrò un dolce ronzio; in realtà la R14 non era poi tanto silenziosa ma era complessivamente molto comoda, ben molleggiata (caratteristica tipica delle francesi d’allora), con spazi interni che certi macchinoni odierni manco si sognano e un bagagliaio (ampliabile) che nessuna due volumi dello stesso ingombro ha più avuto. La velocità massima era di soli 145 km/h ma li teneva senza sforzo e senza bere come un dromedario, per cui era in ogni caso una buona “divoratrice di chilometri”: dopo 800 km filati bastava un po’ di stretching per ritrovarsi scattanti come gatti.
Difetti tecnologici: le candele, con filettatura speciale, non duravano più di 6.000 km, se non le si cambiava entro tale termine non c’era verso d’avviare il motore; la ruota di scorta era collocata nel cofano anteriore su un ingombrante trespolo in tubi di ferro che andava smontato per poter mettere le mani sul motore (la cui manutenzione presentava in ogni caso problemi quanto ad accessibilità), ogni 35.000 km bisognava sostituire i paraolio dei semiassi perché, essendo troppo esposti alla fanghiglia, s’usuravano e la coppa cominciava a sbrodolare (costo dei ricambi 2.000 £, costo manodopera 30.000 £, dato che bisognava smontare l’avantreno); le portiere posteriori si rifiutarono sempre di chiudersi a dovere, se non azionando la sicura/bambini, comunque erano cavoli dei passeggeri posteriori, poi arrivò l’erede e il difetto divenne un pregio, motivo per cui decisi d’infischiarmene; la batteria, d’un formato inusuale (alta e stretta) costava più di quelle standard e durava meno.
L’intervento più costoso (400.000 £) fu la sostituzione della frizione a 80.000 km, con uso in prevalenza cittadino (non male direi) e il meccanico comprese nel prezzo anche la sostituzione dei cablaggi d’accensione; i pneumatici - dei Michelin duri come sassi ma che sulla neve ponevano qualche problema di tenuta - non furono mai sostituiti e, quando ho “dato dentro” la vettura, il battistrada era ancora nei limiti di legge e la struttura integra. Molto robusti i paraurti in vetroresina, che ressero ad urti che avrebbero sbriciolato gli scudi in plastichetta cinese montati su molte utilitarie d’oggi e buona la protezione alla ruggine dei sottoporta (con abbondante antirombo); unica traccia di corrosione rilevata fu una bollicina d’un cm apparsa su una portiera dopo sei anni e che, nonostante l’uso di fibra di vetro, catalizzatore e bomboletta, non riuscii mai a eliminare del tutto.
Quanto la detti in permuta, dopo nove anni, la vettura aveva percorso 90.000 km e, passato qualche mese, la rividi parcheggiata in strada, acquistata da uno sconosciuto che - guarda caso - abitava vicino al mio posto di lavoro. Continuai a vederla per altri cinque/sei anni senza che presentasse evidenti tracce di degrado.
Morale: forse dal punto di vista commerciale e (secondo i gusti) estetico la vettura fu un ADM in piena regola ma a me rese un buon servizio, così come lo resero ad amici che avevano seguito il mio esempio quelle da loro acquistate. Se poi si pensa che alla R14 succedettero due cauteri come la R9 (degna controfigura della Duna) e la R11 (il cui posteriore ricordava il bancone frigo d’una gastronomia) sarei portato a concludere che forse la Renault fece male a non valorizzare di più la sua “bastardina”.
Concludo con una notazione dettata da bellissimi ricordi: con questa vettura mio figlio, appena nato, fece le sue prime uscite motorizzate quindi inseritela pure tra le ADM, se vi va, ma rispettate i legami affettivi, se non siete dei buzzurri . “

Recensione inviata da Luciano De Dionigi di Padova

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